Dai viaggiatori romantici alla disumanizzazione dei maiorchini.
Traduttori: Christian e Franci
La storia del turismo a Maiorca è storia lunga e complessa che si è sviluppata lungo gli ultimi due secoli e che ha trasformato radicalmente i costumi, le tradizioni e i modi di vivere e relazionarsi dell’ambiente maiorchino. Sono enormi i cambiamenti che si sono prodotti dall’arrivo dei primi viaggiatori all’inizio del XIX secolo fino ad arrivare all’odierna situazione di massificazione e disposizione piena e assoluta di tutta l’isola al fenomeno turistico.
Gli inizi del turismo nell’isola di Maiorca, nel secolo XIX, sono strettamente legati alla costruzione e all’operare del primo vascello a vapore costruito nel 1837 per favorire la corrispondenza postale tra Palma e Barcellona. Questa prima forma di turismo era ancora in un’ottica antropologica. I pochi visitatori non venivano solamente per vedere l’isola, ma anche per visitare i maiorchini, per studiare i loro costumi, i modi di vivere e di relazionarsi. Da queste esperienze numerosi studiosi, antropologi, viaggiatori hanno raccolto le loro sensazioni e vissuti realizzando diversi libri di viaggi. Si tratta dei cosiddetti “viaggiatori romantici”, gente con una discreta disponibilità economica, che poteva permettersi le considerevoli spese che quei viaggi rappresentavano a quei tempi.
Da qui si sviluppa un seguito di scienziati, letterati e artisti spinti a Maiorca da un turismo antropologico e scientifico. Così a partire da questa data, troviamo personaggi come l’artista Joan Bautista Laurens, di Montpellier, che nel 1839 ritrae l’isola in una serie di litografie e compila il libro Souvenirs d’un voyage d’art a l’ile de Majorque. Altri esempi di viaggiatori “romantici” possiamo rintracciarli nel 1865 quando arrivano a Palma due importanti scienziati tedeschi, il chimico Robert Wilhelm Bunsen e il medico naturalista e direttore del Museo Zoologico e del Museo di Storia Naturale di Amburgo, Herman Alexander Pagenstecher. Tra gli altri, possiamo ricordare anche l’illustratore e letterato francese Gaston Vuillier, a Maiorca nel 1888, che pubblicò una serie di incisioni sull’isola nella rivista Le Tour du Monde. Ma viaggiatori di questo tipo non se ne vedono più fino all’inizio del secolo XX. Nomi importanti come Ruben Dario, Santiago Rusiñol, J. Virenque e molti altri lasceranno per iscritto o incideranno le loro esperienze turistiche nella Maiorca di quei tempi sempre da un punto di vista antropologico, cercando di mostrare al mondo com’era la vita, i costumi, i vestiti e le città di quella piccola isola nel mezzo del Mediterraneo.
Ma all’inizio del XX secolo il modello turistico comincia a cambiare. Nascono i primi hotel, stabilimenti di lusso dedicati a turisti ricchi che venivano a Maiorca in cerca di pace e tranquillità, in un’isola ancora non massificata. Nei primi anni ’30 del XX secolo si avvia la costruzione di doversi alberghi, di piccole dimensioni, non solamente a Palma, ma in molte altre zone costiere. Nello stesso tempo le primissime piccole linee aeree turistiche compaiono con la compagnia Aero-Taxi Maiorca, creata nel 1934. Già nel 1935 viene inaugurata la prima linea regolare tra Maiorca e Madrid. Nel 1939 Iberia e Lufthansa svilupperanno nuove linee regolari. Questa crescita e creazione di nuovi voli si spiega con l’arrivo sempre più grande di turisti.
Un incremento che prosegue negli anni ad alti e bassi e subìsce una forte crisi durante la guerra civile e nel dopoguerra.
Il colpo di grazia a questo turismo che possiamo definire più o meno d’élite e minoritario arriva con la costruzione delle grandi infrastrutture come l’aeroporto di Son Sant Joan. Nasceva il turismo di massa. L’aeroporto è inaugurato ufficialmente nel 1960 e da allora il transito cresce esponenzialmente: ogni anno, a partire dal 1962, si celebra l’arrivo del milionesimo turista, accolto dall’autorità e festeggiato. Ma già nel 1965 si superano i 2 milioni di passeggeri in arrivo a Maiorca attraverso l’aeroporto. Nel 1980 arrivavano Maiorca più di 7 milioni di turisti. Nel 1995 i passeggeri (turisti e locali) superavano i 15 milioni. Negli ultimi anni si è superata la cifra di 22 milioni di passeggeri.
L’incremento senza freni di visitatori ha reso necessarie tutta una serie di infrastrutture d’accoglienza per fargli posto, soprattutto tenendo in considerazione la concentrazione nei mesi estivi. Ecco perché a partire dagli anni ’60 Maiorca subisce un processo di urbanizzazione e creazione di servizi senza precedenti: nuovi villaggi fioriscono in ogni dove, ma soprattutto nelle zone costiere; nuovi depuratori si mettono in moto per sopperire al problema del consumo smisurato d’acqua; grandi discariche per difendersi degli enormi quantitativi di spazzatura; nuove cave nelle montagne per garantire la costruzione di sempre più strade, sempre più chalet e sempre più servizi di ogni tipo, tutti destinati a quei milioni di turisti che invadevano Maiorca ogni anno. Addirittura negli anni ’60, per riferirsi a questa cementificazione senza misura e senza alcuna pianificazione (con relativa distruzione totale delle coste e del territorio) si diffonde in Francia il termine dispregiativo di balearizzazione.
Ma non sono solo il territorio e l’ambiente a subire le conseguenze del turismo di massa. A partire dagli anni ’60 l’economia subisce un processo di terziarizzazione, con il passaggio da un’economia agricola e industriale ad un’economia di servizi ed edile (nel 1969 l’edilizia e il settore servizi rappresentavano il 55% del totale, ma già nel 1981 questi due settori erano arrivati al 77%). Ne è conseguita la precarizzazione delle attività lavorative. Soprattutto da quando, durante la cosiddetta transizione democratica, si diffonde il contratto fisso discontinuo, con il quale i padroni potevano assumere e licenziare i lavoratori a piacere quando ne avevano bisogno: nei mesi estivi. La strada verso la concentrazione della stagione turistica era aperta. Ogni anno che passava si riducevano ancora di più i tempi di apertura degli hotel, con l’immediata conseguenza di centinaia di persone che perdevano lavoro per entrare a far parte delle liste di disoccupazione. Come si può supporre, gli affari e la ricchezza non erano mai suddivisi, ma la grande maggioranza è rimasta concentrata nelle mani delle grandi catene alberghiere, che a poco a poco (e molte volte con la scusa della crisi economica) sono riusciti a divorare i piccoli stabilimenti monofamiliari, e degli operatori turistici stranieri, che hanno sempre avuto il potere decisionale sul turismo che arrivava nell’isola. Così, per esempio, gli anni che vanno dal 1974 al 1981, approfittando della crisi internazionale, a Maiorca chiudono 257 piccoli hotel. Il settore si “rinnova” rimanendo nelle mani delle grandi catene alberghiere e dei tour operators.
Tuttavia, negli ultimi trent’anni il turismo non ha mai smesso di evolversi. Da anni la sua forma predominante è quella del turismo di breve durata in località come Magaluf o s’Arenal, zone create solo ed esclusivamente per soddisfare l’ozio economico e la necessità di spiaggia di quei turisti con poco interesse per la cultura e l’etnografia locali.
E con il mutare del modello turistico sono cambiate anche le relazioni sociali dei maiorchini, il loro sguardo sul mondo e molti dei loro valori sono andati perduti. Concludendo, il modello turistico che subiamo oggigiorno, forgiato lungo gli ultimi due secoli ma soprattutto a partire dagli anni ’60 con il boom turistico, ha portato ad uno scenario dove noi stessi maiorchini ci siamo sottomessi e siamo caduti in una dipendenza totale dal turismo, ad una disumanizzazione che raggiunge i limiti estremi quando si sentono alcuni rallegrarsi delle guerre del sud del Mediterraneo, giacché quelle morti ci garantiscono un ulteriore incremento del turismo dalle nostre parti, benché non vi sia alcun beneficio per la gran maggioranza della popolazione.