Tra il falso e il possibile

A proposito dell’uccisione di Venezia e di chi non vi si rassegna.

Bronse Coverte

Ultimamente, su non pochi media nazionali ed esteri, si è tornati a parlare della «morte di Venezia», causata dal turismo di massa. La questione è, in realtà, tutt’altro che nuova anche se, a parere di chi scrive, negli ultimi quindici anni ha effettivamente assunto dei connotati di irreversibilità su cui vale la pena interrogarsi. Per fare ciò è però necessario sgomberare il campo da alcune falsità prodotte dalla narrazione dominante che, volta a eliminare il possibile sviluppo di una critica radicale al fenomeno, presenta in sostanza il turismo come una calamità naturale subita da una popolazione autoctona compattamente refrattaria.

Un’ordinaria domenica di visite.

La macchina turistica di Venezia è un modello economico integrato, all’interno del quale chiunque contribuisce alla sua riproduzione. L’indotto creato da questo tipo di economia è, negli ultimi anni, diventato da maggioritario a totalizzante, avendo fagocitato ogni altro tipo di attività lavorativa ed essendosi diffuso in maniera capillare nel corpo sociale. Divenuta l’unica fonte di ricchezza possibile, i veneziani stessi (con le dovute ma sempre minoritarie eccezioni) sono divenuti un ingranaggio primario di questa macchina, mettendo a reddito le loro proprietà in funzione esclusiva delle esigenze dei visitatori. Ne sono un esempio concreto il gran numero di B&B, decuplicati in quindici anni dopo le liberalizzazioni, ma anche i tanti negozi di quartiere trasformati in rivendite di souvenir, a scapito di chi potrebbe ancora vivere la città come tale e non come un gigantesco parco giochi.

L’indotto turistico è passato negli ultimi anni ad essere da maggioritario a totalizzante

Le radici di questo processo vanno ricercate nel secondo dopoguerra, con la terziarizzazione dell’economia dovuta alla progressiva dismissione delle industrie in città, avviate nei primi anni del secolo e sviluppate durante il fascismo. Questo ha portato ad una ri-organizzazione metropolitana del territorio, con operai e classi meno abbienti trasferite nell’entroterra e la città governata come un «centro storico» da cui estrarre valore in ogni angolo. In questo senso risulta fuorviante anche riferirsi alla categoria della gentrificazione, l’espulsione dei poveri a vantaggio degli investimenti dei grossi capitali è qualcosa che, nella maggior parte di Venezia, è già avvenuto. La fase attuale vede piuttosto una guerra, silenziosa e strisciante, condotta verso ogni forma di vita non conformata alla monocultura del turismo, combattuta ai ferri corti casa per casa e strada per strada.

Gli aspetti sociali di questa situazione hanno, nel quotidiano, molteplici conseguenze. Risulta sempre più arduo trovare contratti di affitto che durino più di un anno e, ancora più difficile, trovare un proprietario che permetta di stabilire la propria residenza ufficiale. Ne consegue che una consistente fetta degli abitanti di Venezia non vi sia formalmente residente, non potendo quindi contare sui diritti basilari come l’accesso alla sanità e all’istruzione nel comune dove, di fatto, si vive. Alla luce di ciò andrebbe letto anche il dato, spettacolare e per questo sempre riportato, sullo spopolamento della città, scesa l’anno scorso sotto la soglia dei 55000 residenti, appunto, «ufficiali». Un numero che non comprende quello degli studenti fuori sede, della manodopera immigrata o di chi, per scelta o per necessità, si è trasferito senza un contratto regolare. Categorie, queste, tutt’altro che marginali o esigue, di cui va compresa la differenza di posizionamento quando parliamo di resistenze al turismo.

Il volto del controllo dello spazio urbano.

Nel corso dell’ultimo anno, a nome di associazioni di cittadini o di gruppi creati appositamente, sono state organizzate alcune proteste volte a sensibilizzare sul problema dello spopolamento e del turismo di massa1 2. Tralasciando la natura di questi soggetti, per lo più politicanti o commercianti esasperati dal «degrado» del visitatore mordi e fuggi, queste manifestazioni hanno avuto un carattere reazionario nel momento in cui, fregiandosi di una «venezianità» intesa come diritto di nascita, non hanno fatto altro che chiedere all’amministrazione una migliore gestione dei flussi. Proposte che verranno probabilmente accolte in un futuro prossimo: nella prospettiva di zonizzazione e maggiore controllo dello spazio urbano non sorprenderebbe ritrovarsi con un biglietto da pagare per visitare Piazza San Marco o con la chiusura cadenzata degli accessi alla città, sbarrando le porte al visitatore giornaliero che non consuma abbastanza. Un modo di esternare il malcontento facilmente recuperabile proprio perchè, nuotando con la corrente, incontra le nuove esigenze di gestione di chi governa, per cui un controllo più pervasivo dello spazio pubblico è sempre funzionale a una sua più pervasiva monetizzazione.

In questo quadro profondamente compromesso risulta difficile, all’oggi, immaginare una critica, e una lotta, al turismo che non si fermi alla forma, ma ne riesca ad attaccare il contenuto. Esattamente come ogni critica al capitalismo, senza una messa in discussione radicale del proprio modo di vivere, è destinata a rimanere lettera morta.

Il problema del turismo, come ogni critica al capitalismo, senza una messa in discussione radicale del proprio modo di vivere, è destinata a rimanere lettera morta

Frammenti di questa prospettiva possono essere raccolti nelle lotte nate attorno a questioni specifiche, lì dove si è dato come inevitabile anche un salto sul piano etico. E’ il caso delle occupazioni di spazi universitari destinati a diventare alberghi, delle occupazioni di case (politicamente organizzate come no) e delle opposizioni a progetti di speculazione nocivi per il territorio. Queste lotte, nate negli ultimi anni sotto il segno dell’esasperazione alla monocultura turistica, contengono in potenza i germi della distruzione di quest’ultima più per le loro potenzialità inespresse che per i risultati effettivamente conseguiti. Al di là degli intenti di chi le ha promosse, le energie messe in circolo in questi contesti sono riuscite a mettere sul piatto possibilità inedite, percorribili anche al di fuori dei classici percorsi militanti. Occupare una casa per abitare in una città dove ogni appartamento è un bed and breakfast. Combattere una grande opera, o un piano urbanistico, organizzandosi per vivere al di là di questa. Liberare uno stabile vuoto per non farlo diventare un albergo, ma anche per far sì che diventi subito qualcosa di completamente altro. Incazzarsi per la nuova privatizzazione di un giardino, per mettere in discussione ogni proprietà di ciò che si vorrebbe comune. Non chiedere più nulla al potere di turno ma battersi per riconquistare gli spazi dove non è più nemmeno possibile camminare.

Ricomporre questi frammenti, questi possibili inespressi, è il da farsi di chi vorrà vivere e lottare a Venezia nei prossimi tempi. Non sarà, per forza di cose, un affare di tutti nè si potrà fare a meno di pestare i piedi a qualcuno. Ma di sicuro ne vale la pena.


1 Redacción (2016, 13 de novembre) Venecia protesta contra la invasión del turismo masivo. Diario Córdoba.

2 Euronews (2016, 13 de setembre) Los vecinos de venecia se rebelan contra la invasión de turistas. Euronews.